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LombardiaSalute

Proposta di un gruppo di intervisione in preparazione dei lavori congressuali

27 Dicembre 2022
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Andrea Costa, Silvia De Carli, Emanuele Tomasini

Nella pratica psicoterapeutica molto si è scritto, e si scrive, sulla posizione del terapeuta nei confronti del paziente, ma quella verso i colleghi e gli altri orientamenti? Ciò a cui siamo maggiormente esposti, tranne poche rare eccezioni, è il credo che il proprio modello epistemologico sia migliore per questo o quel motivo e veniamo in-formati dalla teoria di riferimento della Scuola di appartenenza. Il modello socio-culturale al quale siamo esposti, soprattutto all’interno delle Istituzioni, privilegia oggi, sul modello anglosassone e americano, le terapie evidence based di cui le scuole cognitiva e strategica delle nuove generazioni sono portatrici, limitando il numero di incontri possibili e riducendo quindi il campo di azione delle terapie a interventi basati più su obiettivi di risoluzione sintomatologica rispetto a terapie più ad ampio spettro e del profondo. Ritroviamo questa impostazione nelle domande con le quali arrivano i pazienti, che vogliono, il più delle volte, velocità, efficacia e immediatezza dei risultati. Scrivendo, sappiamo di compiere una piccola generalizzazione dell’analisi di contesto; esistono alcune isole felici, ma sono poche.

Assistiamo poi a un tentativo di integrazione all’interno del proprio modo di lavorare con l’apprendimento di tecniche specifiche, anche molto diverse dal proprio mondo originario; si pensi alle modalità di lavoro sul trauma che oggi sono, perfino, consigliate dall’OMS.

Nel pensare alla nostra proposta per il Congresso, PSICOTERAPIA RELAZIONALE INTEGRATA Modelli formativi e pratica clinica a confronto, del 14-16 aprile 2023, ci è venuta in mente una storia appartenente alla tradizione sufi che di seguito riportiamo brevemente e in una versione, tra le tante disponibili.

C’erano una volta sei saggi che vivevano insieme in una piccola città.
I sei saggi erano ciechi.
Un giorno fu condotto in città un elefante. I sei saggi volevano conoscerlo, ma come avrebbero potuto essendo ciechi?
“Io lo so”, disse il primo saggio, “lo toccheremo.”
“Buona idea”, dissero gli altri, “così scopriremo com’è fatto un elefante.”
I sei saggi così andarono dall’elefante.
Il primo saggio si avvicinò all’animale e gli toccò l’orecchio grande e piatto. Lo sentì muoversi lentamente avanti e indietro, producendo una bella arietta fresca e disse: “L’elefante è come un grande ventaglio”.
Il secondo saggio invece toccò la gamba: “Ti sbagli. L’elefante è come un albero”, affermò.
“Siete entrambi in errore.”, disse il terzo, “L’elefante è simile a una corda”, mentre gli toccava la coda.
Subito dopo il quarto saggio toccò con la mano la punta aguzza della zanna. “Credetemi, l’elefante è come una lancia”, esclamò.
“No, no”, disse il quinto saggio “che sciocchezza!, L’elefante è simile ad un’alta muraglia”, mentre toccava il fianco alto dell’elefante.
Il sesto, nel frattempo, aveva afferrato la proboscide. “Avete torto tutti”, disse, “l’elefante è come un serpente!”, “No, come una fune”,
“No, come un ventaglio”,
“Come un Serpente!”,
“Muraglia!”,
“Avete torto!”, “No ho ragione io!”
I sei ciechi per un’ora continuarono a urlare l’uno contro l’altro e non riuscirono mai a scoprire come fosse fatto un elefante.

Ecco, il rischio per noi psicoterapeuti è finire come finiscono i ciechi saggi. Cosa sarebbe successo se si fossero messi a parlare tra loro, senza la pretesa di avere ragione?

Potremmo quindi dire che la nostra proposta nasce da un’unica premessa: mettere a confronto approcci terapeutici differenti non è un limite, ma una risorsa.

Proprio perché il paziente è portatore di un mondo complesso, la possibilità di unire i diversi sguardi e dialogare per costruire tridimensionalmente ciò che ci troviamo davanti ci sembra una sfida avvincente, che può meglio approssimarsi alla realtà che stiamo osservando.

Non abbiamo un modo pre-definito per operare questa costruzione. Proprio perché non vogliamo precostituire un modello di riferimento né una struttura rigida, ma lasciare il più possibile aperta la possibilità di una co-costruzione che dia senso allo scambio e al confronto.

L’idea è quella di creare un gruppo di colleghi, di diversi approcci, e incontrarci con una frequenza che sarà condivisa dai partecipanti per discutere i casi, sui quali si desidera lavorare insieme o le prassi terapeutiche, ognuno dalla propria prospettiva.

Ci proponiamo quindi di aprire gli occhi e il cuore all’incontro con molteplici punti di vista e vedere l’effetto che fa su di noi e sulla nostra pratica clinica.

A partire dall’esperienza sviluppata anche, per chi di noi l’ha vissuta, durante il tirocinio al CPS di Gorgonzola, riteniamo infatti che i diversi sguardi e le diverse prospettive teoriche di riferimento possano contribuire a generare nuovi stimoli, critiche costruttive e linguaggi più articolati e allo stesso tempo più semplificati, per uscire dalla terminologia appresa e portarci a rendere più fruibili le nostre idee anche ai pazienti stessi.

In un’altra versione della storia dei saggi ciechi, alla fine era un principe a mettere insieme le diverse visioni dell’elefante. Riteniamo che questo finale da una parte per qualcuno richiami la supervisione, concepita come uno spazio spesso occupato da due (o anche più) professionisti, con esperienza diversa, nella misura in cui uno (il supervisore, appunto) ha il compito di fornire indicazioni cliniche e pratiche in forza della sua maggiore esperienza rispetto all’altro componente (il professionista che richiede la supervisione); dall’altra, significherebbe che i conduttori del gruppo possiedano un modello immaginario forte che ricollega le parti, quando magari ciò che viene osservato potrebbe non risultare un elefante, ma una giraffa.

È quindi lo spirito dell’intervisione che ci anima, in cui l’accento non è posto tanto sull’esperienza dei partecipanti, quanto sulla diversità della preparazione dei singoli e sulla variegata natura delle disposizioni, sentiti e vissuti personali che ognuno porta come bagaglio di risorse con cui contribuire.

Speriamo quindi che i partecipanti portino non solo le conoscenze e l’esperienza di cui sono consapevoli, ma anche il loro modo di reagire, di ragionare, e di sentire su più livelli, compreso quello non verbale; con un reciproco scambio di questi contenuti si può cominciare allora a vedere allineamenti e differenze tra i partecipanti, parti di sé come terapeuti e come individui che sono anche presenti nello spazio clinico con i pazienti. Questi elementi, di ogni tipo, vengono descritti con termini diversi a seconda dei vari approcci teorici (pulsioni, sistemi motivazionali, modelli operativi interni, schemi di sé, copioni di vita etc..) e presentano differenze ovviamente, ma anche punti di contatto e similitudini, che il dialogo in intervisione aiuta a comprendere meglio nelle sfaccettature che più possono essere utili per il professionista per lavorare in una data situazione clinica.

Congresso psicoterapia

PS: l’immagine che abbiamo scelto per questo articolo rappresenta un quadro realizzato da un paziente del CPS di Gorgonzola. La psicologa che seguiva il paziente l’ha lasciato al CPS quando è andata in pensione, ma non l’ha mai esposto, ritenendo che potesse turbare i pazienti. Carnevali l’ha sempre tenuto in vista nello studio e quando ha lasciato il lavoro al CPS l’ha lasciato sapendo che anche a Veronica, la psicologa che ha preso il suo posto e che è stata una sua tirocinante, il quadro piaceva e non aveva remore ad esporlo. Rappresenta dunque un elemento di continuità come presenza inquietante nello studio dello psicologo del CPS che da un certo momento in poi ha potuto essere visto dai pazienti accettando gli stimoli e le emozioni che suscita. Può rappresentare una metafora del “perturbante” che entra nel lavoro terapeutico suscitando una feconda inquietudine. È evidente, nell’immagine, il riferimento a un gruppo composto da fisionomie complesse che possono integrarsi mantenendo la loro diversità.

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