Nell’epoca moderna, in una società improntata sul capitalismo, il lavoro occupa la maggior parte del nostro tempo.
Questo impegno prevalente plasma le nostre vite e le nostre scelte riguardo all’impiego del tempo. La conseguenza è che, questo affannoso inseguimento del tempo guidato spesso da ansia e dalla paura della morte, definisce gran parte delle nostre azioni e scelte. In questo contesto, il dott. Simone Sottocorno, Psicoterapeuta e Direttore Clinico del Centro di Psicologia “InTerapia s.r.l.”, si addentra nell’analisi delle intricate relazioni tra l’ansia, la percezione del tempo e il nostro timore dell’inevitabile fine. Questo studio esplora come la corsa verso un tempo produttivo possa essere interpretata come un meccanismo di evitamento dalla consapevolezza della nostra fine e come l’accettazione della mortalità possa trasformare radicalmente la nostra percezione del tempo stesso.
Il Tempo Come Fuga
Sono seduto, osservando le lancette dell’orologio muoversi senza sosta. Il ticchettio incessante è come un eco delle mie stesse ansie, delle mie paure più profonde. Il tempo, quel bene prezioso che tentiamo di afferrare come sabbia tra le dita, sembra essere il fulcro intorno al quale ruotano le nostre vite. Ma è davvero il tempo ciò che ci spinge avanti o è la paura della morte che si cela dietro ogni nostro passo frettoloso?
Ansia e Mortalità
L’ansia è diventata un compagno silenzioso, ma onnipresente, nella vita moderna. Ci siamo catapultati in un turbine di attività, viaggi, conoscenze, spinti da una corsa affannata verso un tempo che scorre troppo in fretta. Ma perché questa frenesia? L’ansia è un sentimento che nasce dalla paura e, nel nostro caso, sembra trarre origine dalla consapevolezza della nostra finitezza.
La morte, in tutta la sua ineluttabile certezza, si erge come un faro oscuro nel nostro percorso. È il confine, l’orizzonte in cui si percepisce il termine della nostra esistenza, un abisso di incertezza che affrontiamo con angoscia. Il timore di perderci, di sprecare il tempo che ci è concesso, ci spinge a impregnare ogni istante di attività frenetica, a riempire ogni vuoto con esperienze da accumulare come monete preziose.
Ridefinire il Significato del Tempo
È paradossale come la stessa ricerca spasmodica di un tempo “produttivo” diventi spesso la nostra fuga dalla consapevolezza della fine. La cultura moderna è intrisa di un’imperiosa necessità di fare, vedere, essere sempre attivi, come se la noia, il silenzio, la contemplazione fossero vie proibite.
Le ore della sera diventano un momento particolarmente intenso per l’ansia. Mentre il giorno si dissolve, ci poniamo la fatidica domanda: “La mia giornata è stata piena?” È come se dovessimo bilanciare il tempo trascorso con l’attività, altrimenti, ci sentiremo in colpa. Eppure, dobbiamo ricordare che talvolta la non produttività, la mancanza di azione, è ciò di cui alcune persone sentono il bisogno. E questo va bene. Non dobbiamo sentirci in colpa per i giorni persi, poiché cadremmo nella trappola di pensare: “Devo fare qualcosa di grande prima che sparisco”.
Ma in questo disperato inseguimento del tempo, siamo diventati schiavi delle nostre stesse aspettative. Il tempo diventa una risorsa da sfruttare, un bene da accumulare piuttosto che un fiume in cui tuffarsi, gustando ogni sua piega e corrente. La paura della morte ci spinge a guardare avanti, a correre verso un traguardo che ci sembra inafferrabile.
E così, l’ansia diventa il motore nascosto di molte delle nostre azioni. È ciò che ci spinge ad essere iperproduttivi, ad affaticarci nell’accumulo di esperienze, a riempire ogni istante con un qualcosa di tangibile. Ma in questo frastuono incessante, rischiamo di smarrire il senso profondo di ciò che siamo e di ciò che veramente conta.
La vera sfida potrebbe essere abbracciare il tempo in modo diverso. Accettare la sua natura fugace e imprevedibile potrebbe significare trovare un equilibrio tra il desiderio di fare e la necessità di essere. Forse, solo rallentando e lasciandoci immergere nel presente, possiamo sfidare quell’ansia che ci spinge verso una produttività forsennata.
Forse, nell’abbracciare la mortalità e nell’accettare la fine come parte integrante del nostro viaggio, possiamo rendere il nostro tempo qui, se non eterno, almeno significativo. La vera sfida è trasformare l’ansia in consapevolezza, e la corsa contro il tempo in un viaggio più consapevole, più autentico e più appagante.
Dott. Simone Sottocorno
Direttore Clinico di InTerapia s.r.l.